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Metodo di Judo PDF Stampa E-mail
venerdì 22 febbraio 2013

Buongiorno a tutti,

siamo i ragazzi della Polisportiva Orpas che praticano Judo in cripta, proprio sotto la chiesa, durante la settimana. Vorremmo cercare di rendervi partecipi dell'attività che svolgiamo sul tatami (materassina) e raccontarvi la nostra esperienza iniziata (per i praticanti più esperti) nel 1989 presso l’Istituto Salesiano Sant’Ambrogio e proseguita dal 2002 presso la nostra parrocchia.

Nel corso degli anni il numero di praticanti è cresciuto, raggiungendo il centinaio, comprendendo atleti dai sei ai sessantacinque anni.

 

Il Judo è una disciplina di combattimento creata dal Professor Jigoro Kano nel 1882 in Giappone: essa racchiude dentro di sé numerose correnti tradizionali giapponesi, il Ju-Jitsu, il Ken-Jitsu e lo Zen cercando, attraverso una sintesi, di favorire il pieno sviluppo dell'uomo. Il professor Kano fece un lavoro di scrupolosa ed attenta analisi per definire i principi e le metodologie del Judo. I principi sono Sei ryoku sai zen yo (La ricerca del miglior impiego dell’energia) e Jita yu wa kyo ei (Insieme per crescere in armonia).

 

Tutto questo confluisce nella pratica sulla materassina dove si incontrano le vite di ciascun allievo, diverse tra loro ma indirizzate agli stessi scopi. Raccogliendo idee e sensazioni abbiamo trovato risposte differenti: c’è chi ricerca un equilibrio e chi uno svago, chi si sente felice ed in famiglia, c’è chi invece si sente spronato ad aumentare la sicurezza in se stesso. Ognuno ha sperimentato queste sensazioni sulla propria pelle giorno dopo giorno, crescendo e mutando insieme a loro. Ciò che accomuna tutti noi è la ricerca con metodo: il Judo non offre obiettivi specifici ma propone di fare fatica insieme per vivere sul tatami ciò che spesso affrontiamo nella vita.

 

La pratica si compone di svariati aspetti tra cui figura anche il Randori, generalmente tradotto come combattimento ma più precisamente: “controllo della confusione”. In questo esercizio si cerca, in piedi o al suolo, di utilizzare al meglio le proprie energie per proiettare (far cadere mediante una tecnica di proiezione) il compagno o immobilizzarlo in posizione supina mediante una tecnica di controllo, ottenendo pertanto un Ippon (punto). Questo risultato è ottenibile con velocità, potenza e tecnica solo se cuore, mente e corpo cooperano nella stessa direzione. Capita infatti, a volte, che l’azione venga quasi da sé, tant’è che lo stupore e la meraviglia ci fanno dire: “Ma sono davvero stato io?”. Viene in mente “Vita Activa” di Hannah Arendt, quando parla della bontà come carattere fuggevole e impossibile da mantenere in questo mondo; citando il Vangelo infatti ricorda che la bontà oltre a non essere manifesta deve nascondersi a noi stessi: “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”. Dimenticandoci dell’opera fatta, consacriamo l’azione ad un mondo perfetto che difficilmente raggiungiamo, vista l’imperfezione di cui siamo intrisi.

 

Nel Judo cresciamo insieme attraverso questo metodo e a qualsiasi età è possibile constatarne gli effetti. Controllando la confusione interiore e ricercando l’Ippon mettiamo in ordine il mondo pezzo dopo pezzo, allenamento dopo allenamento, goccia di sudore dopo goccia: partendo da noi, unendosi agli altri e proponendoci di dare il nostro contributo al miglioramento personale e collettivo. Non sempre riesce sulla materassina, a volte infatti l’Ippon è a scuola, sul lavoro, in famiglia o verso se stessi, ma sempre con l’intensità, l’energia e la ricerca usati nei nostri allenamenti. Diventa per noi una grande soddisfazione constatare che di tutte le cinture nere, nessuna, in questo momento di crisi, è senza lavoro o prospettive per il futuro. Siamo consci che i meriti rimangono personali ma ci piace pensare che vi sia uno stretto collegamento tra la pratica sulla materassina e la vita di ciascuno di noi.

Un percorso che dura tutta la vita. Da bambino fino all’età adulta, muovendo i primi passi tra le cinture colorate, crescendo e raggiungendo la cintura nera e infine giungendo al decimo Dan, il grado più alto; proprio in quel momento, all’apice della conoscenza judoistica, si abbandona la cintura bianca e rossa (quella dei maestri) e si riprende, rispolverandola dall’armadio, la nostra cintura bianca. Ricominciando tutto da capo.

 
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